I giochi come sistemi
31 Maggio 2021
Programmi e strumenti per il game design
3 Giugno 2021
I giochi come sistemi
31 Maggio 2021
Programmi e strumenti per il game design
3 Giugno 2021

I pilastri fondamentali su cui si fonda la struttura di un videogioco

I videogiochi sono a tutti gli effetti sistemi di apprendimento.

Siamo in presenza di un sistema ogni volta che un comportamento complesso emerge dall’interazione tra elementi discreti. Una volta innescato, il sistema ludico provoca piacere principalmente grazie alle regole. In base a come esse sono costruite e combinate in modo creativo, produrranno sfide appaganti che mettono alla prova determinate abilità dell’utente. Ogni situazione offre uno spazio di possibilità più o meno limitato, in cui declinare le proprie conoscenze, capacità e sentimenti. Gli ostacoli dall’esito incerto, ma percepiti come superabili, accendono la motivazione per affrontare le prove proposte e migliorarsi.

La curva di difficoltà di ogni gioco quindi, non è altro che una visione formale del processo di apprendimento previsto nel giocatore. L’unico modo che questi ha per comprendere il sistema complesso è farne esperienza, testare le meccaniche ripetutamente e analizzare le differenze tra gli esiti.

Demon Souls è stato il capostipite di un approccio meno tradizionale ai tutorial. Esso getta il giocatore in un ambiente ostile fin dalle prime aree e lo fa confrontare con minacce superiori al suo livello di apprendimento. Queste scelte sono contestualizzate il mondo narrativo decadente e mortale, ma permettono anche di impartire importanti lezioni. Infatti, i giocatori che non abbandonano dopo i primi fallimenti saranno paradossalmente spronati dalla frustrazione e apprezzeranno ancor più la difficoltà.
Demon Souls è stato il capostipite di un approccio meno tradizionale ai tutorial. Esso getta il giocatore in un ambiente ostile fin dalle prime aree e lo fa confrontare con minacce superiori al suo livello di apprendimento. Queste scelte sono contestualizzate il mondo narrativo decadente e mortale, ma permettono anche di impartire importanti lezioni. Infatti, i giocatori che non abbandonano dopo i primi fallimenti saranno paradossalmente spronati dalla frustrazione e apprezzeranno ancor più la difficoltà.

L’utente si ritrova a studiare di continuo il gioco, consapevolmente o meno, al fine di padroneggiarlo, o nel migliore dei casi conoscerne addirittura tutti i segreti e retroscena. 

L’estetica e la narrazione dell’opera sono componenti marginali in questo senso, in quanto la loro qualità non intacca un sistema di regole già di per sé divertente. La forma dei pezzi degli scacchi, ad esempio, non influisce sulla struttura della partita, e allo stesso modo una trama ben strutturata non è sufficiente per salvare un gioco noioso o mal progettato. Nei casi di massimo impegno e padronanza del sistema infatti, i giocatori tralasciano volutamente le informazioni irrilevanti, concentrando tutta l’attenzione sulle meccaniche fondamentali in atto.

L’Ipotesi sulla riduzione dell’informazione di Haider e Frensch illustra proprio questo: guardare al mondo di gioco solo come un insieme di regole precise ed interconnesse permette performance migliori per la possibilità di focalizzarsi su meno dati.

Perché allora la fiction?

Essa è fondamentale per introdurre l’utente al sistema, per dare un senso logico a certe azioni e ai loro risultati, per stabilire un obiettivo di volta in volta mosso dall’emozione e non solo dai numeri.

Strutturare l'apprendimento

In estrema sintesi, giocare vuol dire imparare a giocare

Esistono 2 modi principali per innescare il processo di apprendimento, che portano a modalità di gioco altrettanto differenti:

  • Struttura emergente (sandbox): La combinazione di determinate regole immutabili genera situazioni sempre varie ed interessanti (come nella maggioranza degli sport e gioco da tavolo, ma anche in titoli come Pong o Tetris). Il modello non presenta un ordine definito per le sfide, ma lascia che sia l’utente a sperimentare e interagire con l’ambiente, gli avversari e le situazioni possibili. Un gioco emergente potrebbe non avere mai fine, ma comporsi di un numero illimitato di partite singole. Gli sfidanti o il contesto cambiano, ma ciascuna di esse è un riflesso possibile dell’esperienza complessiva.
Molti Rogue-lite, come Enter the Gungeon, usano la struttura emergente all'interno di un palinsesto fisso. Le sfide sono generate in modo casuale, ma si alternano a checkpoint e boss in modo cadenzato, dando al giocatore una percezione tangibile di progresso senza privarlo della continua sorpresa delle nuove zone esplorabili.
Molti Rogue-lite, come Enter the Gungeon, usano la struttura emergente all'interno di un palinsesto fisso. Le sfide sono generate in modo casuale, ma si alternano a checkpoint e boss in modo cadenzato, dando al giocatore una percezione tangibile di progresso senza privarlo della continua sorpresa delle nuove zone esplorabili.
  • Struttura progressiva: sfide separate in difficoltà crescente pongono al giocatore l’obbligo di performare azioni determinate, che provino il suo miglioramento. L’esperienza è in generale “pilotata” verso uno sviluppo degli eventi preciso, che si tratti di trama o semplice avanzamento del livello di difficoltà. L’utente, seppur limitato nelle sue azioni, è di fatto più padrone della situazione, che si aggrava di pari passo all’ottenimento di nuove conoscenze e capacità. Tuttavia i giochi progressivi arrivano inevitabilmente ad una fine (che non necessariamente corrisponde all’epilogo narrativo) quando il giocatore raggiunge o supera il massimo grado di abilità richiesto. In quel caso il gioco perde almeno in parte attrattiva, ma spesso questo tipo di esperienze sono pensate per un numero finito di ore di gameplay.
Alcuni giochi completamente narrativui, come To the Moon, non prevedono neanche un vero e proprio aumento della difficoltà. La storia avanza su binari e richiede solo di essere fruita, lasciando poco spazio alla rigiocabilità e la personalizzazione del gameplay. I titoli di questo genere sono quasi più assimilabili a romanzi o film interattivi che sistemi di gioco.
Alcuni giochi completamente narrativui, come To the Moon, non prevedono neanche un vero e proprio aumento della difficoltà. La storia avanza su binari e richiede solo di essere fruita, lasciando poco spazio alla rigiocabilità e la personalizzazione del gameplay. I titoli di questo genere sono quasi più assimilabili a romanzi o film interattivi che sistemi di gioco.

A prescindere dalla struttura adottata, sia le regole che la fiction permettono al gioco di essere distinguibile dalla vita quotidiana.

Il regolamento definisce uno spazio limitato in cui il sistema di norme è valido e la narrazione introduce il giocatore ad un mondo fittizio nettamente distinto da quello reale. L’esperienza videoludica si svolge quindi a metà tra questi due ambienti, in quanto le azioni compiute nel mondo fisico (premere pulsanti su un controller) hanno un impatto diretto e quantificabile in quello virtuale. Le reazioni sono finzionali, ma le azioni e le regole che le generano sono assolutamente reali.

Il videogioco è stato perciò definito come forma d’arte “half-real” dal professor Jesper Juul.

Scelta la struttura alla base del gioco, il passo successivo è stabilire le relazioni tra i suoi elementi fondamentali. Se il pubblico non riesce a comprendere il funzionamento del sistema, esso fallisce a prescindere come forma di apprendimento ed intrattenimento.

Puoi scoprire di più sull’argomento in questo articolo.

LEGGI ANCHE:

Hello world!

Welcome to WordPress. This is your first post. Edit or delete it, then start writing!

Skills o abilità?

Cosa serve al giocatore per fruire appieno un’esperienza interattiva? I requisiti si differenziano tra competenze e abilità (skills): le prime innate e necessarie per approcciare l’attività […]

Giocatori e abilità: le diverse tipologie di skill

Abbiamo già definito la distinzione tra competenze pregresse nel giocatore ed abilità (skills) richieste per fruire un’esperienza interattiva. Queste ultime sono strettamente legate al design del […]